sabato 23 aprile 2011

La Cella

Quell’uomo non avrebbe mai pensato che la sua vita sarebbe finita in quella maniere. Suo malgrado, era rinchiuso  in una  prigione,  senza rendersi conto quale fosse la ragione. Una coincidenza, la sfortuna di trovarsi coinvolto in una storia di omicidio lo avevano, purtroppo, portato in quella triste situazione. La cella dove lo avevano rinchiuso  non era buia, ma lo stesso la muffa  si espandeva copiosa, soprattutto, sugli angoli del muri che la delimitavano. E il grigiore di quella polvere grigia e bagnata gli metteva nell'anima una profonda malinconia. Il  letto, un tavolo e una sedia erano gli unici mobili che riempivano quella stanza. Per il resto il vuoto che si scorgeva in quei muri duri e spogli su cui spesse volte, Mario, così si chiamava quell’uomo, in piedi,  accostava il suo avambraccio, per poi adagiare la fronte. Passava ore ed ore in quella posizione, come se in quel arto volesse nascondere gli occhi, la faccia, quell’uomo che seppure si sentiva innocente, lo stesso, provava vergogna. E così trascorreva buona parte del suo tempo, quell'uomo, guardando fisso quel lembo di muro che si apriva ai suoi  occhi. Piccoli spazi bianchi, risparmiati dal grigiore della muffa su cui passavano i suoi pensieri, i suoi ricordi, le sue speranze, ma soprattutto la sua vergogna; il tempo che sovente gli pareva si fosse fermato, inghiottito da quel silenzio tombale che regnava tra gli spazi di quella prigione.

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